Laura Prati e Costantino Jametti vittime di Authority killing
Articolo in: - Editoriali
Saronno
Giuseppe Nigro 30/07/2013
Nel marzo del 2013, a rimanere uccise nel palazzo del Broletto a Perugia, sono due impiegate di Regione Umbria, che secondo l'aggressore erano colpevoli di "averlo rovinato".
Nel maggio del 2012 un fatto analogo, per fortuna conclusosi in modo non cruento, era accaduto a Romano di Lombardia, in provincia di Bergamo, dove l'aggressore entrato armato di fucile nella sede dell'Agenzia delle entrate aveva minacciato di strage i 15 dipendenti della filiale.
Nel 2010, a Roma, un ingegnere dipendente dei vigili del fuoco entra nella caserma di fronte all'ippodromo, armato di un affilato coltello e ferisce un impiegata alla gola, accoltella quattro dipendenti, fugge e investe 5 persone.
Nel 2006 a rimanere ucciso era stato il sindaco di Villa Bartolomea nel Veronese. Un ex autista di scuolabus del comune entra nella sede del municipio e uccide il sindaco, colpevole di non volerlo riassumere e consentirgli di riprendere il suo lavoro per il quale era stato ritenuto non più affidabile. L'elenco potrebbe continuare con moltissimi altri episodi, più o meno gravi.
Quali gli elementi di comunanza nei casi ricordati? Le vittime sono autorità pubbliche, politiche e/o amministrative. La domanda che ci si deve porre riguarda, pertanto, il perché si manifesti una diffusa violenza nei confronti di persone che rivestono ruoli pubblici.
Siamo in presenza di un fenomeno ben noto in altri paesi, dove da tempo è studiato, almeno dagli anni Ottanta del secolo scorso. Questa tipologia di delitti - sostengono gli studiosi di criminologia - è tipica dei paesi industrializzati. In particolare è (era) tipica dei paesi anglosassoni. Da alcuni anni, come abbiamo sommariamente ricordato, anche l’Italia e l’Europa continentale sono state toccate da questi eventi.
Si tratta del cosiddetto “authority killing”, dell’assassino “vendicativo verso le autorità”. Il soggetto violento è convinto di aver subito un torto da figure considerate autorevoli, indipendentemente, da chi siano in realtà. L’omicida mira alla strage e non al delitto singolo. La letteratura scientifica identifica nel "mass murdere killer", l'omicida che uccide (o tenta di uccidere) quattro o più vittime nello stesso luogo e momento (e il caso di Cardano e di tutti gli altri ricordati risponde a questa condizione).
Si tratta, solitamente, di individui fra i 27 e i 50 anni di età, fase della vita in cui nei paesi a economie mature, l'uomo sta per raggiungere, o ha raggiunto, i traguardi lavorativi che si era prefisso. In società altamente consumistiche, oggi, è sempre più difficile realizzarsi professionalmente e socialmente. I motivi sono noti: la crisi diffusa, la forbice fra aspettative e realtà, le diminuite opportunità che allontanano la realizzazione di progetti di vita fondati su lavori appaganti, o ritenuti tali. È soprattutto l'uomo che identificandosi prevalentemente nel proprio ruolo lavorativo a reagire con violenza di fronte a frustrazioni, delusioni e sconfitte.
E insuccessi e insoddisfazioni possono portare persone fragili a cedere di fronte allo "stress esistenziale". L'assassino è un individuo che si sente perseguitato e percepisce il mondo come ostile, di cui bisogna vendicarsi per dimostrare la propria superiorità incompresa. Rivolgere la propria rabbia contro le autorità, vendicarsi, uccidere il maggior numero possibile di persone, con armi dotate di grande capacità offensiva diventa il modo con cui da vittima si diventa carnefice, da persona inutile si diventa un superuomo. Solo così la vita torna ad avere un senso.
Nel caso di Cardano Al Campo, non bisogna dimenticare che l’omicida ha sparato per uccidere la "sindaca" Laura Prati, il vicesindaco Costantino Jametti e tutte le persone che si trovavano sulla scena. Non è casuale che le violenze siano esplose in municipio, proseguite davanti al comune e per le affollate strade cittadine. Soltanto il caso ha voluto che la vittima sia stata soltanto la "sindaca".
Fino ad ora il fenomeno è stato sottovalutato dalla politica e dalle autorità, ma neppure adeguatamente compreso come rivelano molte delle parole ascoltate e lette in relazione alla morte di Laura Prati, al di là dell'enorme commozione che il tragico episodio ha suscitato. Gli studiosi sono convinti che sia possibile prevenire questi avvenimenti.
Le assemblee legislative, regionali e centrali, promuovano e finanzino progetti di ricerca per arrivare a formulare proposte concrete e prevenire i rischi di violenza. Si promuovano corsi di formazione per illustrare alle forze dell’ordine (anche quelle locali), oltre che al personale che lavora nella pubblica amministrazione, le caratteristiche del fenomeno, e le modalità migliori di interazione quando ci si trova di fronte a potenziali aggressori "authority killing".
Non si faccia confusione e si sgomberi il campo da semplificazioni e interpretazioni che non aiutano a comprendere quanto accade. La “violenza verbale “ di Grillo, per quanto esecrabile, non ha alcuna attinenza con la questione di cui stiamo trattando, al contrario, per il ben noto fenomeno della sublimazione, può essere ritenuta una valvola di sfogo sociale che previene comportamenti eteroaggressivi, incanalandoli in comportamenti socialmente accettabili.
Laura Prati è morta sul lavoro. Se si vuole che il suo sacrificio non sia stato inutile, è giunta l'ora di costruire le difese coerenti per prevenire la tipologia di "incidente" di cui è stata vittima.
http://giuseppenigro.blogspot.it/2013/07/laura-pra#...]